IV DOMENICA QUARESIMA A 23 1 Sam 16, 1b.4a. 6-7. 10-13a; Sal 22; Ef 5, 8-14; Gv 9, 1-41

 

 

Nel passo del Vangelo di oggi, Gesù incontra un uomo cieco fin dalla nascita e i suoi discepoli gli chiedono se sia stato il peccato dei suoi genitori o il suo a causare la sua cecità. Gesù risponde che non è colpa né dei genitori né del cieco, ma che la sua cecità è stata permessa da Dio per poter manifestare in lui le opere di Dio.

Gesù allora unge gli occhi del cieco con del fango e gli ordina di andare a lavarsi nella piscina di Siloe. Il cieco obbedisce e, dopo essersi lavato, riesce a vedere per la prima volta nella sua vita.

La parabola del cieco nato è spesso interpretata come un esempio di come la fede in Dio può portare alla guarigione e alla salvezza. Inoltre, è un invito a non giudicare gli altri in base alle apparenze o alle loro circostanze di vita, ma piuttosto a cercare di comprendere le ragioni di ciò che accade e a cercare di aiutare gli altri nel loro cammino spirituale.

Il tema di questa domenica affronta dunque anche il mistero della sofferenza e del dolore presente nella vita umana.

È un mistero che suscita sempre una domanda, la stessa che si sono posti i discepoli di Gesù: perché, qual è la causa?

Tutti “nasciamo ciechi”, anzi non molto tempo fa si nasceva addirittura con gli occhi chiusi, ma questo potrebbe fornirci una metafora, nasciamo ciechi perché non possediamo la luce di Dio, che riceviamo nel Battesimo, sempre in modo proporzionato alla nostra condizione umana, per cui anche il mistero del dolore e della sofferenza, ha qualcosa che ci sfugge e non lo comprendiamo sino in fondo, tanto da non volerlo accettare e proviamo ad ogni modo di allontanarlo.

Comprendendo l’umana ritrosia di fronte a qualunque forma di sofferenza, il Vangelo ci dice che dovremmo “abitare” la sofferenza, perché essa è permessa affinché si manifestino in noi le “opere di Dio”

È noto che le domeniche di quaresima sono anche un percorso catecumenale per coloro che nella notte di pasqua riceveranno il Battesimo, quindi siamo partiti con le tentazioni di Gesù nel deserto, per far comprendere ai neofiti che intraprendere il cammino di sequela a Gesù non è facile e presenta delle tentazioni.

Ai neofiti viene prospettato il traguardo di questa sequela con la domenica della trasfigurazione. Con il Battesimo inizia un processo di assimilazione a Cristo che avrà il suo compimento nella condivisione della resurrezione.

Domenica scorsa, il richiamo all’acqua ci ha riportato al pensiero del battesimo, l’acqua viva che trasforma i discepoli di Gesù in sorgenti d’acqua viva per gli altri.

Oggi il cieco che non ha mai visto la luce e neanche tutto quello che lo circonda fino a quel momento.

Senza la luce che viene dall’alto, senza la fede difficilmente possiamo vedere la vera realtà di noi stessi (il cieco non ha un nome), e neppure della vita e delle cose che ci circondano.

Così comprendiamo che ciò che diamo per scontato non lo è, avere la fede non è una cosa da poco, avere fede vuol dire in qualche modo “vedere” con gli occhi di Dio, certamente una visione come dice S. Paolo, come in uno specchio, in maniera confusa, ma vediamo.

Il cammino cristiano si propone come un avanzamento nella visione di Dio sempre più chiara, fino al giorno in lo si potrà contemplare nella sua verità, la famosa “visione beatifica”.

Camminare nella fede verso questa “visione” è lasciarsi accompagnare, compiere un percorso di purificazione (piscina di Sìloe), rendere gloria Dio per le meraviglie che, in qualunque circostanza, opera nella propria vita e per essere “inviati” ad annunciare quanto ricevuto.

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