III DOMENICA DI QUARESIMA C

Es 3,1-8a.13-15; Sal 102; 1 Cor 10,1-6.10-12; Lc 13,1-9

La liturgia della parola di questa terza domenica di quaresima, prende le mosse da due fatti avvenuti in quel tempo: una sommossa ebraica soffocata nel sangue da parte dei romani e una disgrazia causata dal crollo di una torre che causò diversi morti. Gesù parte da questi avvenimenti per porgere i sui insegnamenti, che se fossero presi in esame con la sensibilità odierna, potrebbero essere etichettate come terrorismo psicologico, pressione psicologica per indurre le persone a decidersi in qualche direzione, nel caso delle letture di oggi, decidersi di convertirsi. In verità, Gesù parte dai quei fatti di cronaca per sottolineare l’urgenza della conversione, che non bisogna procastinare a un ipotetico domani per altro incerto: non sappiamo il giorno e l’ora del nostro incontro definitivo con il Signore. Anche Agostino di Tagaste, nelle sue “Confessioni” scrive che le passioni che lo agitavano e lo inducevano a peccare, gli sussurravano di rimandare al giorno dopo la conversione, fino al punto di rottura, con il quale Agostino disse basta, non domani, ma oggi, ora! L’urgenza non è dunque dettata dal fatto di non poter avere il tempo per convertirsi, né una pressione che che Gesù esercita a partire dalla minaccia della disgrazia o della morte, ma un’urgenza del cuore. Lo ha capito bene S. Paolo quando scrive Caritas Christi urget nos, l’amore di Cristo ci spinge, ci sollecita, non ammette rimandi, è la carità di Cristo che spinge Maria ad andare in fretta da Elisabetta. La conversione, come la sequela non ammette ritardi. Lascia che i morti seppelliscano i loro morti, tu vieni e seguimi. Ora è il tempo favorevole, ora ci viene dato quel tempo per poter portare frutto, prima di essere definitivamente tagliati perchè sterili. Tutta la vita è allora un cammino di conversione, che liturgiamente ci viene proposto con insistenza, urgenza, nel tempo quaresimale. Chi sente ancora di doversi convertire per paura di morire ed essere giudicato negativamente, non è bruciato dal fuoco dello Spirito di cui il roveto è una delle immagini veterotestamentarie; un fuoco che brucia, sì, ma non consuma, piuttosto purifica, come l’orafo fa con l’oro; questo non viene bruciato per essere distrutto, ma per diventare più puro, più prezioso. Un fuoco che indica relazione, dialogo con Dio, dentro il quale non si entre senza esserci tolto prima i calzari. La conversione certamente costa, fa soffrire, ma non ci annienta, non ruba spazi di libertà, ma ci indica il giusto cammino verso la vera libertà, la terra promessa dove scorre latte e miele simbolo dei sacramenti che ci donano la grazia, pur in mezzo a tante tentazioni, come quella di adorare noi stessi, come vitelli d’oro che possiamo gestire in proprio e far muovere e decidere ciò che vogliamo. Per questo in questa domenica terza di quaresima, chiediamo al Signore di darci una nuova vita! Di rompere definitivamente con il peccato, il quale è sempre e prima di tutto un no a Dio e un si al male, un no alla volontà di Dio che vuole gli uomini santi perchè Lui è Santo, un no alla coerenza e un si ai compromessi; Un no alla fedeltà a Dio e un sì alla religione che ci siamo ritagliati, ma che ci lascia nei nostri peccati. Prepariamoci dunque al combattimento spirituale anche attraverso una buona e profonda confessione, preparata, pregata, e determinata al progresso spirituale nei confronti di Dio e del prossimo.

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